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Galina

Attraverso la dolorosa storia Ucraina

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Storia della mia famiglia.
Un frammento della grande e dolorosa storia dell'Ucraina.

La storia della mia famiglia è una piccola parte della grande e travagliata storia dell’Ucraina.

Dopo ogni pasto, mia nonna Palageja (nata nel 1895) raccoglieva con la mano le briciole di pane rimaste sul tavolo e le mangiava. Non riuscivo a capire perché lo facesse. Quando glielo chiedevo, i suoi occhi si riempivano di lacrime. Non voleva parlarne, diceva che non mi serviva saperlo, che ero troppo sensibile e mi sarei spaventata. Non capivo perché usasse la parola "spaventata". Più tardi, mio padre mi spiegò che la fame e la paura della fame erano rimaste impresse nella memoria come cicatrici indelebili. Mi raccontò che il pane fatto con le ghiande di quercia era terribilmente amaro, duro e poco saporito, ma si poteva masticare a lungo per placare la fame.

Durante l’epoca sovietica, l’Ucraina ha vissuto tre grandi carestie:

  • 1921-1923,

  • 1932-1933,

  • 1946-1947.

Mia nonna le ha attraversate tutte e tre. Erano periodi bui: l’affermazione del potere sovietico in Ucraina, la Seconda guerra mondiale (dal 1941 al 1943, il villaggio di Dobryn, dove viveva mia nonna, fu occupato dagli invasori nazisti) e le repressioni politiche del 1936-1938. Gli anni successivi, fino al crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, furono altrettanto difficili.

La collettivizzazione obbligava le persone a entrare nei kolchoz (le proprietà agricole collettive). A seguito ciò si dovevano consegnare le terre, il bestiame, i cavalli, i raccolti e gli attrezzi. Alla mia famiglia fu confiscata una foresta di querce, poiché i miei antenati erano artigiani che producevano oggetti in legno come secchi e barili. Le persone lavoravano nei kolchoz per soddisfare una quota di "giornate lavorative", ma non ricevevano un salario. Chi non rispettava le quote rischiava la repressione: poteva finire in prigione. Inoltre, erano tassati in denaro e prodotti alimentari (uova, pelli di maiale, ecc.). Non avevano passaporti, per cui non potevano lasciare il villaggio senza un permesso scritto del capo del kolchoz o del comitato del partito.

Le scuole, la cultura e le biblioteche furono promosse, ma tutto avveniva sotto l’ombra della propaganda sovietica e l’imposizione della lingua russa. I bambini andavano a scuola d’inverno a turno, condividendo un unico paio di scarpe fra tre o quattro fratelli. In estate andavano scalzi o con calzature fatte di corteccia. Era una vita estremamente povera.

Mio padre Ivan, per tutta la vita adulta, ha piantato alberi da frutto gratuitamente per chiunque glielo chiedesse. Inizialmente pensavo fosse un hobby, ma più tardi ho scoperto che le persone avevano tagliato gli alberi da frutto perché erano tassati anche quelli. Nel nostro villaggio, le donne raccoglievano mirtilli nei boschi per vendere le bacche e pagare le tasse. Camminavano per chilometri fino alle città, spesso di notte. A volte, se si attardavano, il brigadiere arrivava a cavallo e rovesciava i loro cesti pieni di bacche. Poteva persino entrare in casa e svuotare i pentoloni di cibo preparato per i bambini. Le lacrime delle donne e dei bambini erano amare, e gli uomini non potevano difendere le loro famiglie. Ogni ribellione veniva soppressa con brutalità.

Durante l’occupazione nazista e negli anni successivi, le donne e i bambini portavano sulle spalle il peso della sopravvivenza. I giovani venivano deportati per lavorare in Germania. Mia zia scappò tre volte, sotto il fuoco delle mitragliatrici. Dal villaggio di Dobryn, che contava circa 600 persone, furono chiamati alle armi 112 uomini; 82 non tornarono. Queste perdite umane, come quelle odierne, sono una tragedia per il nostro popolo.

Dopo la Seconda guerra mondiale, mio padre, che aveva problemi a una gamba, riuscì a lasciare il villaggio per studiare. Si diplomò con lode e lavorò come meccanico in Kazakistan, dove conobbe Sofia, una ragazza polacca che studiava per diventare infermiera. I suoi genitori erano stati deportati dal villaggio ucraino di Susly nel 1936 e lasciati nel mezzo delle steppe kazake, con un semplice cartello numerato a identificare l’insediamento.

Mio padre, ucraino ortodosso, e mia madre, polacca cattolica, hanno cresciuto la nostra famiglia con tolleranza e rispetto reciproco. Difendere la patria è un dovere per ogni cittadino: chi combatte al fronte e chi lavora in retrovia contribuisce a proteggere la propria terra.

E la lotta continua...

Galina Shirchenko,

Vicesindaco della Comunità Territoriale di Irshan.

Galina, insieme al marito che attualmente combatte al fronte.

Andriy, Danilo e Moisiy, il nonno, insieme ai suoi due fratelli, prestarono servizio nella Prima Guerra Mondiale in cavalleria, portando con sé anche i loro cavalli. Sopravvissero tutti e tre alla guerra.

Il padre di Galina e la nonna paterna.

Mykhailo, uno zio, morì nel 1941, al fronte durante la Seconda Guerra Mondiale.

I genitori e i nonni materni.